Mini-Bond, in quattro anni emissioni per 11,5 miliardi

Eppur si muove. Lontano dal clamore e dai riflettori, lontano dai titoli dei giornali e dal dibattito pubblico, il mercato dei mini-bond continua a crescere. E attira nuovi investitori, anche dall’estero. Lo certifica il terzo rapporto realizzato dall’Osservatorio Mini-Bond della School of Management del Politecnico di Milano: a quattro anni dalla prima legge che ha permesso anche alle imprese di piccole dimensioni e non quotate in Borsa di emettere obbligazioni per reperire finanziamenti, il mercato non è più una piccola nicchia. Ormai in Italia hanno emesso mini-bond 222 aziende, delle quali 104 di piccole e medie dimensioni. Le emissioni totali sono arrivate a 292 (alcune aziende hanno collocato più titoli), per un controvalore totale di 11,5 miliardi di euro. Cifra ancora lontana dal potenziale di 50 miliardi che si ipotizzava nel 2012, ma in costante crescita. Servirà certo tempo. Ma il mercato sta maturando.
Anche perché la crescita, fotografata dall’Osservatorio, non è solo nelle dimensioni del mercato dei mini-bond. Ma anche nella sua qualità. Si allarga, per esempio, la base di investitori che opera sul mercato dei minibond. Se da un lato diminuisce l’operatività, nel ruolo di investitori, delle banche italiane (che ormai fanno solo il 6% del mercato), dall’altro aumenta la presenza in Italia di investitori internazionali: fanno ormai il 28% del mercato italiano dei minibond, superati solo (al 31%) dai fondi di private debt. La terza categoria di investitori attiva sul mercato è composta dalle assicurazioni (11%), che in buona parte sono estere: questo significa che il nascente mercato italiano dei minibond attira l’interesse internazionale. Questo è un salto di qualità promettente. Non solo. Aumenta anche la durata media dei minibond, dai 5,2 anni del 2015 ai 5,7 attuali: segno che il mercato è sempre più propenso a finanziare progetti imprenditoriali di più lungo periodo. Nel 2016 sono state 19 le emissioni con durata superiore ai 7 anni, contro le 11 del 2015. Infine – altro segnale di graduale maturazione del mercato, la cedola media è calata sotto il 5% per la prima volta, arrivando nel 2016 al 4,89%. Tenendo conto che la durata dei bond si è allungata e che il 2015 è stato un anno (tra crisi cinese ed elezioni varie) volatile sui mercati, questi numeri fanno ben sperare.
Anche guardando i bilanci delle imprese che hanno emesso minibond si vedono dati incoraggianti. «Nei tre anni precedenti all’emissione, le imprese tendono ad aumentare la redditività e soprattutto la marginalità – osserva Giancarlo Giudici, direttore scientifico dell’Osservatorio -. Il rapporto Ebitda/vendite sale infatti da 5,4% di tre anni prima a 18,9%». Dopo l’emissione, in base alle statistiche disponibili, le stesse aziende tendono ad aumentare i ricavi. Ma non tutte: un quarto del campione non ci riesce.
Ovvio che questo non basti. Per creare un vero mercato serve di più. E bisogna superare anche lo scoglio dei primi rimborsi, che saranno consistenti a partire dal 2018. Ma un po’ grazie ai nuovissimi Pir, un po’ grazie alle iniziative allo studio (come i bond di filiera), il mercato dei minibond potrebbe diventare un mercato.

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